WITNESS
Canti Negro Spirituals a Cappella
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(MP3 Compression – 128 Kbps 44100 Hz stereo)
I BRANI DEL CD
1 Deep River R. Ringwald
2 Ain’t a that good news W. L. Dawson
3 Soon I will be done W. L. Dawson
4 Ain’t got time to die H. Jonhnson
5 Nobody knows the trouble I’ve seen A. Mazza
6 Rockin’ Jerusalem J. Wesley
7 Ev’ry time I feel the spirit M. Hogan
8 I’m gonna sing til de spirit moves in my heart M. Hogan
9 Didn’t my Lord deliver Daniel C. Haywood
10 Sometimes I feel like a motherless child Traditional
11 I couldn’t hear nobody pray W. L. Dawson
12 Ezekiel saw the weel W. L. Dawson
13 Oh happy day L. Farrow – E. Hawkins
14 Sweet little Jesus Boy Traditional
15 Swing low sweet chariot A. Parker – R. Shaw
16 Witness J. Halloran
17 Give me that old time religion E. B. Lund
18 My Lord what a morning W. L. Dawson
19 Plenty good room K. Shaw
LA PRESENTAZIONE DEL MAESTRO ANGELO MAZZA
Fino ad una decina d’anni fa un CD di spirituals eseguiti da un coro italiano avrebbe fatto storcere il naso a molte persone. Per quali motivi? Anzitutto per una convinzione, allora assai diffusa, secondo la quale alcune peculiarità del canto spiritual – in primo luogo la forte connotazione ritmica facente parte, quale patrimonio genetico, della “fisicità” dei neri – sarebbero state d’impossibile accesso alla nostra sensibilità occidentale. In secondo luogo lo stesso testo in lingua inglese, pieno di inflessioni dialettali, indubbiamente creava problemi di pronuncia, tanto è vero che erano state arrischiate traduzioni in italiano, con risultati assai modesti.
Infine lo spiritual, per quanto apprezzato, veniva comunque considerato espressione di un popolo per tradizione e cultura assai lontano dal nostro.
Queste argomentazioni ci appaiono oggi del tutto superate, in considerazione della società multietnica che si va sempre più delineando. A questo proposito, penso che il fenomeno non si limiti all’accettazione – tuttora in atto – degli uni verso gli altri, ma assai di più coinvolga proprio i modi di comunicare, nella lingua come nella musica: la conoscenza dell’inglese è oggi assai diffusa e le forme di espressione musicale d’oltre oceano – il jazz e, successivamente, il rock – ci sono divenute addirittura familiari.
Pure lo spiritual ci appartiene, ormai, se non per origine storica, certamente per acquisizione, rappresentando un patrimonio comune dell’arte universale, allo stesso modo della musica dei grandi autori.
Non deve perciò stupire che il Coro San Giorgio di Acquate e il suo direttore Gianmarco Aondio si dedichino con tanto amore e dedizione a questo genere: la registrazione del compact disc fornisce ampia testimonianza dell’impegno profuso e della qualità dei risultati raggiunti.
Sia dalla elaborazione dei canti, sia dalla loro esecuzione risaltano chiaramente due diversi atteggiamenti: la realizzazione dei brani di andamento lento e meditato avviene attraverso una raffinata ricerca armonica, un controllo ed una cura del suono che denotano una certa influenza del gusto occidentale.
In quelli di movimento rapido e brillante vengono invece privilegiati l’elemento ritmico incalzante e la sonorità talora aggressiva del gospel: in essi si avverte più sensibilmente, forse, lo spirito originario del canto religioso africano, anche per la loro struttura spesso antifonale conraddistinta, cioè, dal dialogo tra voce solista e coro.
Elemento di maggiore connotazione dello spiritual è l’esaltazione dell’amore, della devozione a Dio, espressa con forte intensità e fervore.
Gli argomenti sono in gran parte tratti dall’Antico Testamento e, raramente, dal Vangelo: vengono, infatti, spesso citati personaggi, luoghi ed episodi biblici, come in “Didn’t my Lord deliver Daniel”, “Ezekiel saw the wheel” e “Rockin’ Jerusalem”.
Altre volte il canto esprime una preghiera elevata al Signore – all’inizio o al termine di una giornata – in una sorta di colloquio a cuore aperto, quasi confidenziale: tra gli esempi più significativi voglio citare “My Lord what a morning” come pervaso di incantato stupore, lo struggente “Sometimes I feel like a motherless child” e il tenerissimo “Sweet little Jesus Boy”.
Il tema più spesso ricorrente è quello della fatica, della sofferenza, peraltro sempre assistite, mitigate dalla speranza, nel cammino verso la terra promessa, come palesemente si avverte nell’intenso “Deep river” ed in “Swing low sweet chariot”.
Per concludere, osservo che nel CD gli spirituals vengono affiancati da alcune American songs – “Oh happy day”, “Ain’t got time to die” e “Plenty good room” – che intendono proporre espressioni più attuali di canto spirituale, altrettanto significative.
Angelo Mazza